Ristorazione 2025, tra recite, improvvisazione e fallimenti.
- cheersadv

- 13 nov
- Tempo di lettura: 4 min
Vi ricordate quando un ristorante si sceglieva per il cibo?
“Ieri ho mangiato la miglior coda alla vaccinara della mia vita.”
“Devi provare sto posto, fanno la miglior pizza di Roma.”
“Se vuoi mangiare il pesce buono, devi andare lì.”
Era tutto molto semplice: o si mangiava bene, o non si tornava più.
Chi sapeva cucinare non aveva bisogno di spiegarsi: il piatto parlava da solo.
Oggi invece, quel linguaggio universale — fatto di profumi, sapori e mestiere — si è perso.
Negli ultimi anni, il prodotto è passato in secondo piano, sostituito da tendenze, format e contenuti che spesso raccontano tutto tranne la cucina.
Il sogno romantico di aprire un ristorante
Forse perché la ristorazione continua a fare gola a molti.Aprire un ristorante resta il sogno dell’imprenditore moderno: “fare qualcosa di mio”, un mondo che, visto da fuori, sembra facile e scintillante.
Ma chi lavora davvero in questo settore sa che è una maratona quotidiana fatta di fatica, competenze e soprattutto sacrifici.
Eppure, ogni giorno, aprono nuovi ristoranti.
Tanti, troppi.
E spesso improvvisati: nati da un’idea superficiale, costruiti su un business plan copiato da internet e spinti più dall’entusiasmo che dalla conoscenza del mestiere.
Locali senza identità, senza una visione, e soprattutto senza un prodotto forte.
L’invasione dei format senz’anima
Negli ultimi anni abbiamo visto esplodere format fotocopia destinati a durare il tempo di una stagione: le pokerie nate come funghi, le smashburgerie, i giapporomani, le pizzerie gourmet con prezzi da gioielleria, fino agli all you can eat di qualsiasi cosa.
Nel frattempo abbiamo rischiato di perdere ciò che ci rende davvero unici: la nostra identità gastronomica, fatta di piatti regionali, materie prime eccellenti, creatività vera e accoglienza sincera.
Abbiamo barattato la tradizione con la tendenza, l’anima con l’algoritmo.
E quando questi format hanno iniziato a scricchiolare (forse perché l’offerta oggi supera abbondantemente la domanda) è iniziata la fase due: il marketing disperato.
Prima le sponsorizzazioni aggressive sui social, poi la caccia all’influencer di turno pronto a urlare al web di aver trovato “l’ennesima carbonara migliore di Roma”.
E infine, la resa totale: la rinuncia all’ultimo briciolo di dignità professionale.
Nasce il RistorATTORE
È qui che entra in scena il nuovo protagonista del web: il RistorATTORE.Imprenditori e dipendenti trasformati in personaggi social, pronti a tutto pur di strappare un like.Gente che invece di cucinare si filma mentre balla, recita, improvvisa gag o finge situazioni da cinepanettone, convinti che basti un video virale per riempire la sala.
Dietro, un ecosistema fiorente di “esperti in video virali”: agenzie che promettono successo garantito, visualizzazioni e notorietà immediata, in cambio di format sempre più grotteschi.
Sketch forzati, battute da baraccone, montaggi fotocopia.
Tutti uguali, tutti finti.Una sfilza di video recitati con la stessa naturalezza di bambini alla recita di Natale.
Il risultato è una ristorazione che fa intrattenimento invece di fare cucina.Un teatro trash in cui la battuta conta più della cottura, il trend più della tecnica, la visualizzazione più del cliente.
Chiariamo una cosa:
non stiamo dicendo di non fare video. Anzi.
Comunicare oggi è fondamentale, e i contenuti video — se fatti bene — possono raccontare meglio di mille parole la passione, la qualità e l’identità di un locale.
Ma bisogna comunicare solo quando c’è qualcosa da dire, rispettando il tone of voice e la personalità del ristorante.
Non serve rincorrere i trend del momento, serve trovare un linguaggio coerente con ciò che si è davvero.
Un’osteria romana non può parlare come un fast food americano, e un ristorante fine dining non può imitare i meme da TikTok.
Un video può emozionare, incuriosire, far entrare le persone nel mondo del ristorante, ma solo se nasce da una storia autentica.
Il problema non è comunicare: il problema è comunicare a vuoto.
La cucina standardizzata e il miraggio del franchising
Un altro fenomeno ha contribuito a snaturare la ristorazione: la cucina standardizzata, pensata più per ottimizzare il food cost che per far sognare il palato.
Menù costruiti su fogli excel, centrati su piatti facili da replicare, economici da produrre e veloci da servire.
Porzioni calcolate al grammo, ingredienti scelti non per qualità ma per durata, ricette ridotte a format industriali in nome della “scalabilità”.
Dopo il Covid, molti ristoratori si sono innamorati del concetto di franchising: la promessa di un modello semplice, replicabile, gestibile “anche a distanza”.
Un’illusione di sicurezza che ha però sacrificato l’anima della cucina sull’altare dell’efficienza.Il risultato è una mappa gastronomica popolata da insegne tutte uguali, piatti che si assomigliano, esperienze intercambiabili.
In nome della “formula che funziona”, si è smesso di rischiare, creare, emozionare.
Si è dimenticato che la ristorazione non è una catena di montaggio ma un atto artigianale, vivo, imperfetto e profondamente umano.
E che un piatto può costare poco o tanto, ma deve sempre valere la pena di essere ricordato.
Tornare al punto di partenza
Forse, in tutto questo rumore, ci siamo dimenticati il motivo per cui le persone amano andare a cena fuori: per mangiare bene.
E chi lavora davvero in questo mestiere lo sa: il marketing può aiutare a farsi conoscere, ma è il passaparola che determina il successo di un ristorante.
Un cliente soddisfatto vale più di mille visualizzazioni, e un piatto buono è ancora la forma di pubblicità più potente che esista.
Se questo argomento ti ha fatto riflettere, abbiamo approfondito il tema nel nostro libro “Buona Ristorazione, 7 ingredienti per un locale di successo”, dove raccontiamo — con la stessa schiettezza di questo articolo — cosa serve davvero per costruire un ristorante che funzioni: non solo visibilità, ma identità, costanza, esperienza e prodotto.
Perché un locale di successo non nasce da un video virale, ma da un’idea solida che sa durare nel tempo.

BUONA RISTORAZIONE:
7 ingredienti per un locale di successo
Perché alcuni locali funzionano e altri no? Perché alcuni durano al massimo un paio di anni e altri sopravvivono per decenni? Cosa spinge un cliente a scegliere un ristorante piuttosto che un altro? Quanto condizionano nella scelta l’immagine e la presenza online?
Hai un ristorante a Roma ma non riesci a riempirlo? Forse il problema non è la cucina, ma la visibilità. Se la tua comunicazione non funziona, ci pensiamo noi. Social, foto, grafiche, recensioni: tutto quello che serve per farti scegliere.
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